Silvia Longhi
Fotografa

Dubai, un acquario nel deserto

Reportage

La città dei record ha costruito una realtà in cui specchiare a ogni risveglio la sua ricchezza, invaghita di se stessa.

Come in un grande acquario la città si espone per stupire, ma piccole crepe sul vetro denunciano le sue debolezze. Mentre conquista le altezze, edificando aria e acqua, scopre fragili le sue fondamenta. Dimentica dello spirito nomade del deserto, tenta di rinnegare la sua storia.

Perché prima di scoprirsi fatta di oro nero e trasformarlo in cemento, Dubai è stata legno e commercio, e a ricordarglielo restano nella città vecchia i mercantili che, attraversando il Golfo, portano all’Iran i prodotti della sua ricchezza. Come a rimarcarlo, si rende visibile tra i cantieri la manodopera immigrata, il cui sfruttamento e sacrificio sono danni collaterali silenziosamente accettati nel nome di un inarrestabile bisogno di costruire.

Il fantasma della bolla immobiliare si incarna poi nelle auto abbandonate durante la crisi, sagome rese anonime dal velo di sabbia che le ricopre, deserto che si riappropria di ciò che si ferma.

Questo lavoro si concentra su quegli elementi che, stridendo con la versione ufficiale della città, fanno emergere le sue imperfezioni e la storia di un’altra Dubai.